Raccogliere da terra e infilarsi in tasca foglie, chiavi arrugginite o bottoni (anche quando sono neri e tristi) perché sicuramente hanno dei segreti da raccontare anche se sembra di no (come nel caso dei bottoni neri e tristi).
Continuare ad avere quella reazione adolescenziale da bastian contrario per cui quando ti regalano un libro dicendoti “ah, lui è un genio” (lui l’autore, non il libro), tu subito pensi che “lui” non lo sopporti, che sarà sopravvalutato e quasi sicuramente banale e, anche quando vai avanti a leggere e ammetti di trovarlo a tratti divertente – ammissione che ti costa una fatica gigantesca – però comunque no, un genio proprio no.
Mettersi a ballare quando nei negozi (o nelle librerie o dove capita) parte una musica che stare fermi non si può. A volte pure cantare.
Quando si staccano le ciglia, stringerne una tra pollice e indice, scegliere se “sotto” o “sopra”, pensare un desiderio, aprire lentamente le dita, controllare e, se la previsione non si è avverata, dire una parolaccia e riprovarci fino a quando ci si azzecca che “prima era una prova”.
Dare un nome a tutte le cose – biciclette, piante finte, zaini – e parlare con la propria casa come se fosse una cosa viva (“Ehi, ciao piccola, sono tornata”).
Avere paura di cose assolutamente irrazionali come i temporali.
Inventare parole e messaggi in codice.
Ovviamente queste cose le faccio tutte.
Fine.
(foto @unsplash)